Cucina vigliacca – Stefano Tarquini

Esce domani Cucina vigliacca di Stefano Tarquini (Affiori, 2024). Libro che ci pregiamo di proporre in anteprima assoluta, si presenta come una raccolta dall’impatto emotivo verticale, penetrante, in cui l’autore mescola esperienze intime con una poliedricità di stili riflettenti la quotidianità, il dolore, e non ultimo l’amore. Il titolo stesso, che potrebbe sembrare allusivo a una debolezza, viene subito smentito dalla particolarissima prefazione di Barbara Giuliani (in realtà una lettera, a indicare una particolare educazione sentimentale sottesa, una vicinanza), che riportiamo integralmente:

Caro Stefano, sorrido scrivendo questa lettera, perché la tua cucina vigliacca, ingannevole nel titolo si è invece presa un bel po’ di coraggio per dire d’amore, toccando tutte le lettere dell’alfabeto, per non tralasciare nulla e rassettare con fare casalingo questo luogo domestico, che ogni giorno ci vede attori di un processo vitale legato al più grande sentimento che siamo chiamati a difendere o forse in alcuni casi a offendere. E per dirla con parole tue l’innesco e il girasole, non il cerchio della radice del dolore, per vedere con i propri occhi questa confezione umana prendere coscienza di quanta forza occorra per sprofondare nell’altro e riuscire a contenere entrambi, a volte perdendosi o addirittura rimanere fermi come i nove giorni, diventati poi dieci, in cui la strada di lana s’aggomitola.

[…]

Sorrido, voglio fare tutto al contrario, voglio fare del male, voglio sorridere tanto, voglio guardare a destra prima di attraversare, ma non per farti una guerra di parole, ma per venirti incontro dall’altro lato.

Il pieno è sempre al centro, non c’è mai un angolo affollato, se non dalla polvere, ma possiamo soffiarla. Ingerisco un antiacido e rattristo all’improvviso, gelo l’ultima emozione e guardo l’unica merendina rimasta illesa dal mio attacco. La prendo e la nascondo nel fondo del tiretto delle posate, un piccolo cimitero laico, in cui nessuno mai andrà a pregare quei centoventicinque grammi di felicità artificiale. Fuori piove, la pioggia intanto allarga gli avamposti, sconfitte considerevoli, in questo pomeriggio nucleare. Ho aperto l’ombrello in casa, c’è una perdita nel soffitto e non ho intenzione di ripararla.

Non è poi così male come sembra, basta posizionarsi sulla giusta mattonella. Conserva questa lettera come un segreto tra te e me, un ricordo bomboniera, una trappola per i piccoli cercatori della verità.

Con affetto sconfinato, Barbara

La poesia di Tarquini non è vigliacca. Appare anzi audace, addirittura sfacciata nel descrivere sentimenti crudi e reali, attraversando tutti i toni emotivi dell’alfabeto umano. Le immagini evocate trasudano esperienze umane sia personali che universali, in un precario equilibrio che va dall’amore alla perdita fino all’ordinaria bellezza e bruttezza del vivere quotidiano. Tarquini esplora il dolore non come un punto di arrivo ma come una condizione da attraversare nel passaggio obbligato, per quanto aporetico, dei dualismi: presenza e assenza, felicità e vuoto, luce e oscurità.

Gli oggetti comuni come una moka o una merendina diventano metafore di un magma represso, mentre la mancanza di uno squillo di telefono ne diventa emblema, assenza, segno più tangibile. Anche tra passato e presente sussiste un forte senso di contrapposizione, una memoria dolce/amara legata al tempo in una cifra malinconica che si distacca dalla semplice nostalgia. Esplorare, piuttosto, la realtà.

Non a caso nella nota in postfazione Alfonso Guisa parla di “bruciatura con tutti i suoi confini, senza arrivare al tuorlo”, con un sottile gioco di musicalità nonostante l’autore rifiuti di etichettare i testi come “canzoni”. E a seguire lo ribadisce Fabrizio Pelli:

[…] Eppure Stefano ha un passato – e un presente – da cantautore. Nelle prose poetiche che sono confluite in questa Cucina vigliacca, dove per ragioni di costruzioni, inerenti alla forma di prosa, viene a mancare la metrica, si può percepire un ritmo di fondo, in primo luogo dalla ricerca di un suono. Si viene a creare un amalgama di assonanze in cui battito di inizio battuta è dato dai termini che si discostano, appunto, da queste assonanze. Le immagini presentate in lunghe file, senza sosta e soluzione di continuità, si intervallano non attraverso le virgole – che io interpreto come respiri – ma attraverso termini salienti, come pronunciate da un cantante che decide di dargli più o meno risalto. Concludo dicendo che è stata questa ritmicità, unita alla musicalità data dall’amalgama di cui sopra, che mi ha sempre portato a pensare che la parte del cantante abbia avuto qualche influenza sulla parte dell’autore. Stefano me ne vorrà, per questa affermazione, e so che rimarremmo, con affetto, in questa opposizione.

Reggio Emilia, 26 luglio 2024

Un invito a riflettere sulla fragilità umana all’interno del brusio di fondo di un mondo che non ascolta più, e che si ferisce non ascoltando. In fondo ciò che perdiamo e ciò che impariamo ci custodiscono in qualche modo, ci rendono parte di un viaggio emotivo ed esistenziale comune. Anche se non è facile accettarlo.

Patrizia Baglione

 
 
 
 
Ghigliottina
 
portami su un pianeta uterino
dietro serrande socchiuse cobalto
dove sanguina peste analgesica
e abbaiano diesel su asfalto
mostrami la ghigliottina
dove hai atteso per allontanarmi
la casa pineale è annegata
la testa tagliata è la tua
 
 
 
 
Educazione
 
Splendiamo di un buio feroce
stilando una retta in tre punti
le viscere innescano il vuoto
al netto del tuo disincanto.
 
 
 
 
Allarme
 
È trascorso questo mondo disadorno,
su cavalloni che s’infrangono al pensiero,
severo come un cerchio di mattanza,
sto aspettando come un’onda il tuo ritorno.
 
 
 
 
Vivere
 
al
vostro
obeso
subordinato
vivere
il
nostro
libero
diversamente
andare