1. Kaspar Hauser, il non nato
L’ultimo verso della Canzone di Kaspar Hauser contenuta in Sebastian in Traum (1915) di G. Trakl recita: “Silbern sank des Ungeboren Haupt hin” (Argenteo calò il capo del non nato.) Tutti conoscono la storia di Kaspar Hauser, il cosiddetto fanciullo d’Europa che apparve nella città di Norimberga, sostenendo di essere cresciuto nell’isolamento di una cella, o, nel bosco, secondo altre versioni da cui trae spunto il Lied di Trakl. L’uso del verbo apparire non è casuale. Piuttosto questa azione mette in evidenza la sostanza di quel non nato trakliano. Per esserci, in effetti, Kaspar deve necessariamente essere nato, eppure per Trakl è Ungeboren. Fosse stato fanciullo morto, come Sebastian o Elis, avrebbe potuto rivelare, simbolicamente, l’assenza di futuro o di prospettive per un’Europa sull’orlo o dentro la Prima guerra mondiale; abbandonato, d’altra parte, si sarebbe manifestato come sola epifania. Ungeboren, invece, è tanto l’uno quanto l’altro. Il punto cruciale dell’Ungeboren, in effetti, non è il come sia morto, o dove sia stato abbandonato, ma come, se non nato, sia venuto alla condizione di presenza-assenza e dove, in quanto non nato, si trovi a proprio agio, dov’è il suo Zu-hause-sein (sentirsi a casa).
Dal Lied di Trakl parrebbe che il suo Zu-hause sia nell’ombra di un albero (“Austera era la sua casa all’ombra dell’albero”). Questa natura austera, seriosa, sfumata in una sorta di sacralità oscura, tuttavia, lo tallona (“Ihm folgt Busch und Tier”, “Lo seguono cespuglio e bestia), quando il fanciullo si spinge verso la città. Lo tallona, però, anche il suo assassino. Il luogo originario è tanto austero, quanto habitat del proprio assassino. Il Kaspar di Trakl mantiene l’aspetto orfico del rapporto uomo-natura, laddove la natura segue i passi del soggetto; ma ne mantiene anche un altro: sui suoi stessi passi si metterà anche chi è intenzionato ad ucciderlo, il Moerder, l’assassino, facendo di Kaspar un Dioniso moderno. È questo l’aspetto che parrebbe rispondere al primo quesito, ovvero alla sostanza del come sia venuto alla luce, se non nato. Si tratta della sua condizione divina e mitica. Date le fattezze divine è venuto alla luce di nascosto in un luogo inospitale (unheimlich) tanto per sé, perché è il luogo da cui lo insegue anche il suo assassino, quanto per coloro che stanno al di là della soglia del bosco. Il bosco, del resto, mantiene una sua aura di inaccessibilità. Inospitale per un non-generato, però, è anche lo spazio della polis in cui è venuto alla presenza, il luogo in cui si è rivelato. Il fanciullo non nato, fondamentalmente, non “si sentirà mai a casa propria” ed è questo principio stesso che costituisce la sua origine, se con Heidegger possiamo dire che “il non-sentirsi-a-casa deve esser concepito come il fenomeno più originario.” L’Ungeboren è gettato dal suo Heimlich al suo Unheimlich, dall’Heimlichkeit allo spaesamento, all’Unheimlichkeit.
C’è una linea di demarcazione sottile tra le due condizioni dello spazio dell’esistenza, tanto sottile da rendere il percorso circolare e tautologico: si veda la combinazione Heimlich–Un–Heimlich. La soglia tra le due condizioni del non nato, come è possibile notare dal punto di vista grafico, sta nella particella privativa “non”, “un” in tedesco. Questa stessa particella, d’altra parte, scinde il dove in due identità, come già spiegava Freud, nel suo saggio sull’Unheimlich del 1919, pubblicato appena quattro anni dopo Sebastian in Traum di G. Trakl: “Heimlich è un termine che sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere in conclusione col suo contrario: unheimlich. Unheimlich è in certo modo una variante di heimlich.” Il tutto avviene perché il cosiddetto perturbante ha a che fare con il da-dove-come siamo (non-siamo) e da-dove-come agiamo (subiamo), da–dove-come appare (non appare) Kaspar, da-dove-come agisce (subisce) Kaspar. Apparentemente l’unheimlich del da-dove è il bosco: un noto, sì, ma serioso.
Resta il chi lo ha gettato nel mondo e il chi vuole sottrarlo al mondo. Rispetto a questi due soggetti, leggendo il testo di Trakl, avvertiamo, ad ogni modo, quello che Fisher chiama “fallimento di presenza.” In quanto Ungeboren, chi lo ha messo al mondo? Chi è l’assassino (che proviene comunque dal suo stesso luogo unheimlich originario)? Si tratta di un enigma di cui si suppone esista soluzione, la si ricerca ossessivamente, senza, d’altra parte, riuscire a trovarla. Ciò che sappiamo è che Kaspar è ungeboren, che vive ovunque in una condizione di spaesamento, “quella che si rivela autenticamente nella situazione emotiva fondamentale dell’angoscia”, ancora con Heidegger.
Nel film di Werner Herzog, “L’enigma di Kaspar Hauser” (Il titolo tedesco è però più preciso: “Ognuno per sé e Dio contro tutti), una scena, un frame, evidenzia visivamente questa condizione tanto di angoscia quanto di spaesamento cui è sottoposto Kaspar. Intorno alla fine del film la telecamera si ferma e inquadra il volto tondo del ragazzo. La madre adottiva è di spalle, momentaneamente incurante. Kaspar, invece, ribadendo la sua condizione di non nato, con la voce proveniente dal bosco/cella da cui ha iniziato il suo cammino verso la città, dice: “Mutter, ich bin von allem abgetan” (Madre, sono ferito da tutto). Non nato, dall’Unheimlich all’Unheimlich, dall’Unheimlichkeit all’Unheimlichkeit, ferito da tutto.
Luciano Mazziotta
Continua su Pordenoneleggepoesia