Continua il ciclo di Speciali dedicato ai Maestri letti e ricordati da poeti e amici di Laboratori Poesia. Un modo per conoscere la poesia contemporanea attraverso la voce di chi l’ha ispirata, e per conoscere e riconoscere la più importante e impattante letteratura nazionale e internazionale. Il primo articolo ricordiamo è stato curato da Paola Loreto su Emily Dickinson (QUI).
Alessandro Canzian
Una mattina mi disse che camminare gli faceva male ai piedi, e avrebbe preferito andare in giro scalzo, piuttosto che indossando quelle stupide scarpe di cuoio. Non erano ancora i tempi in cui, come oggi, si va in giro con le pantofole o con le sneakers (!).
Ormai era anche un poco curvo su se stesso. Tuttavia il portamento era sempre elegante e la voce, flebile ma diretta, aveva un tono fermo.
Amavo tutto di Giovanni Giudici, la sua gentilezza, la sua signorilità e, ovviamente, le sue poesie. Credo avesse raggiunto quella consapevolezza della scrittura che oltrepassa il proprio mestiere di scrivere e sancisce la caratura filosofica e linguistica verso un podio più alto. I suoi suggerimenti, spesso netti e puntuali, si mescolavano, nella mia incerta crescita letteraria di allora, con le riflessioni acute che sapeva misurare in un eloquio scabro e colloquiale, ma pieno di cenni verticali.
Quando ebbi modo di frequentarlo, andando avanti e indietro tra Pisa e Lerici, con una vecchia Fiat Uno rossa, era quasi al crepuscolo. E le volte in cui lui venne a tenere un seminario poetico in città, si poteva misurare la sua stanchezza dai profondi silenzi nei momenti di pausa dalle nostre attività.
Quando lo conobbi non avevo letto tutto di lui. Mi sono rifatto nel tempo, ma quando ormai lui non c’era più.
Comprai Salutz in un’edizione recente – il testo l’avevo patito con sofferenza all’università. Lo rilessi e mi irritò, tanto che volevo strapparlo. Ma prima comprai online l’edizione originale e la riposi in libreria. Poi presi l’edizione economica e ne feci coriandoli da carnevale. Volevo ammazzare quel Giudici lì. Ma qualche anno dopo, durante il Covid, mi tornò in mente con forza. Insieme a Petrarca fu uno dei due stimoli che mi spinsero a scrivere il libro di sonetti rifatti della tradizione letteraria, L’ospite perfetta. Allora avrei voluto ringraziarlo.
Perché il maestro è un po’ come i genitori. Prima li devi uccidere, ma quando muoiono davvero li vai a cercare. Dopo che sono morti ti tornano sempre in mente. E spesso non hai fatto manco in tempo a ringraziarli.
Alessandro Agostinelli