Dialogo con Alessandro Anil


da Pordenoneleggepoesia
 

Alessandro Anil, classe 1990, ha trascorso i primi sedici anni della sua giovane vita in India, nel Bengala occidentale, dove ha frequentato la scuola fondata da Tagore presso il quartiere di Santiniketan. Dopo un percorso di formazione in Filosofia e Letteratura intrapreso e concluso in Inghilterra, Anil si è trasferito in Italia, dove attualmente vive e dove ha visto pubblicati alcuni suoi componimenti sulla prestigiosa e storica rivista «Poesia» della Crocetti Editore, accompagnati da uno scritto di Milo De Angelis per la rubrica I poeti di trent’anni. Versante d’esilio (Minerva, 2019) è stato il suo libro d’esordio ed è tornato in libreria con Terra dei ritorni (Samuele Editore-Pordenonelegge, Collana Gialla, 2023), silloge suddivisa in tre sezioni (Terra dei ritorni, Note sulla memoria dell’acqua, Cartografia della voce) oggetto della presente intervista a cura di Vernalda Di Tanna.

 
 

Vernalda Di Tanna: Anil, qual è il ruolo della memoria nei tuoi ritorni e che peso hanno in questo viaggio le «circostanze immaginarie»?

Alessandro Anil: Il futuro, quello che un giorno conosceremo e l’altro che non ci apparterrà. Il passato vicino e quello remoto nei secoli, le idee che hanno dato forma alle nostre case, le piazze, i nostri edifici, quelle che resteranno inaccessibili nella mente degli altri e molto molto altro ancora. Ogni nostro passo nel presente, porta con sé questa enorme quantità di informazioni che esistono dietro al reale. L’invisibile guida i nostri passi, mentre quello che vediamo è un uomo che cammina. A fronte di tutto ciò quello che chiamiamo reale è solo una piccolissima parte, una piccola zattera a cui pensiamo di aggrapparci.

Quando noi ritorniamo, non torniamo verso qualcosa di reale, torniamo verso l’immagine che ci portiamo dentro quando abbiamo lasciato un luogo, una persona. Quello che ci guida è la memoria. Una memoria che ha nel tempo subito le modifiche dell’immaginazione. Noi ricordiamo una persona, ma la nostra personale immaginazione ha quotidianamente compiuto un lavorio e ha modificato l’immagine impressa. La piccola scheggia del reale ha proseguito una traiettoria a noi ignota, qualcosa che non conosciamo più. Non torniamo che verso l’ignoto, verso l’estraneo, nonostante noi pensiamo di sapere dove stiamo tornando. Quando Ulisse torna a Itaca deve ristabilire la sua identità. Ogni ritorno richiede un nuovo accordo. Ogni ritorno apre un momento della morte e non sempre siamo all’altezza di questo cambiamento. Se noi sapessimo la realtà cosa è diventata durante la nostra assenza, o semplicemente cosa non è mai stata, forse non ritorneremmo. Per questo ogni ritorno non può che fare affidamento a «circostanze immaginarie». La memoria stessa è un’altra forma di immaginazione.

C’è un punto in cui un filosofo così equilibrato come Hume concorda con alcune correnti dell’epistemologia indiana, cioè che la catena causale che noi creiamo nella mente per spiegare un evento non ha molto a che vedere con la realtà. Sono due binari separati.

 
 
Continua su Pordenoneleggepoesia