La luce scura di Emily Dickinson


da Pordenoneleggepoesia
 

Cinquantacinque poesie di Emily Dickinson per Crocetti. Scelte da Jorie Graham, tradotte da Maria Borio e Jacob Blakesley, a cura di Maria Borio e anticipate da una sua introduzione critica, queste versioni mirano a enfatizzare tanto il carattere di indipendenza di Dickinson quanto il problema della miscomprensione della sua opera.

 
 

La luce scura di Emily Dickinson

 

1. Quando nel 1939 Eugenio Montale recensisce una delle prime traduzioni italiane di Emily Dickinson, curata da Emilio e Giuditta Cecchi, ne parla in modo scettico: “Crediamo che il suo influsso, con quello di vari poeti inglesi cattolici o cattolicheggianti, dal Thompson al Patmore fino al Hopkins, rimarrà mediato, marginale, operando su giovani aggiornati solo di terza mano e in perpetua ricerca di contenuti”. Aggiunge, però, cauto: “influsso non mancherà in qualche modo”.1 L’immaginario di Montale è esistenzialista e ateo. Inoltre, considera negativamente sia lo spiritualismo puritano, sia il trascendentalismo e l’utopia democratica che Dickinson respira quotidianamente ad Amherst nel New England. Dickinson è chiusa in un cliché: cristallizzata, come nel dagherrotipo di Otis H. Cooley, scattato nel 1847, che la ritrae da adolescente. Montale la etichetta: un’autrice mistica, focalizzata sulla sua interiorità, lontana dai problemi dell’esistenza concreta, senza quello che potremmo chiamare un pensiero critico. Tuttavia, non potrà fare a meno di occuparsene, forse riconoscendo i legami di Dickinson con la poesia metafisica inglese del Seicento, che per lui era fondamentale: infatti, la include nel suo Quaderno di traduzioni (1948).2

L’inclinazione metafisica è sembrata a lungo il tratto dominante nella poesia di Dickinson. Montale è colpito dalla sua capacità originale di proiettare gli stati d’animo personali in un orizzonte trascendente. D’altra parte, lui stesso pubblica, sempre nel 1939, le Occasioni, che trasfigurano l’esperienza soggettiva in significati allegorici. Ma se il carattere metafisico di Dickinson ha anche un fondo spirituale, questo aspetto non sarà irrilevante per autori come Margherita Guidacci, Cristina Campo, Mario Luzi. Guidacci inizia a tradurla nel 1947 e continua a occuparsene fino all’edizione Poesie del 1979.3 Le traduzioni di Campo appaiono nella Tigre assenza del 1991, ma risalgono al 1953: erano destinate al progetto del Libro delle Ottanta Poetesse, mai andato in stampa; e, probabilmente, furono ben viste da Elémire Zolla, filosofo del pensiero mistico e suo compagno di vita, che nel 1961 allestisce la raccolta Selected Poems and Letters, dove raggruppa una sua scelta di poesie, senza traduzione, ma con la prima importante bibliografia sull’autrice apparsa in Italia.4 Anche Luzi lavora a Dickinson. Le sue traduzioni sono raccolte nella sezione Versioni d’autore curata da Marisa Bulgheroni per Tutte le poesie del 1991, dove troviamo anche quelle di Amelia Rosselli.5 Rosselli, in particolare, cresciuta in una famiglia anglofona, e libera dalla preoccupazione di cadere in equivoci spiritualistici come Montale, sembra confrontarsi con Dickinson quasi fosse una specie di alter ego: trova un’intensità espressiva affine nell’intelligenza visionaria di questa minuta donna del New England, sulla cui vita è stato costruito un mito letterario. Così la poesia di Dickinson, a lungo sclerotizzata dagli interpreti, inizia a essere presa in considerazione in modo più attento. Il carattere metafisico si rivela solo uno degli aspetti della ricerca di Emily, che è più ampia e riguarda anche il problema della conoscenza autentica di sé stessi e della realtà.

La tensione a trascendere l’esperienza, infatti, non significa per Dickinson che la realtà possa essere letta con degli universali: non le interessa cercare un senso attraverso i parametri dogmatici della religione o quelli concettuali della filosofia. Trascendere vuol dire interrogare: è un atto percettivo e speculativo costante, che attraversa la vita quotidiana in modo pervasivo. Perciò, potrebbe assomigliare al fenomeno della luce scura che secondo la fisica si è sprigionata dopo il Big Bang e si è espansa in particelle impercettibili in tutto l’universo. L’attitudine a interrogare riguarda molti aspetti: la propria coscienza, la comunità in cui si vive, lo spazio geografico che si abita con i suoi oggetti e la sua natura, ma anche la fede e le idee. Trascendere significa cercare di guardare oltre i limiti di quello che è interiore e esteriore, materiale e immateriale, concreto e astratto. Perciò, la poesia di Dickinson ha sempre uno scopo ermeneutico: ha il coraggio di riconoscere che la fede e le idee, così come il sentire individuale, possono essere autentici non perché possiedono qualità assolute, ma perché acquistano davvero significato se si riesce a considerarli in una complessità di rapporti reali, spesso molto difficili da decifrare. Trascendere non assomiglia a un gesto mistico, ma a un ostinato mettersi faccia a faccia con l’enigma. Il riddle è infatti una delle forme preferite con cui Dickinson costruisce le poesie (“E, alla fine, attraverso un Enigma –/ Sagacia, devi passare” leggiamo in This World is not Conclusion…). La sua scrittura innesca reazioni a catena: prima infrange i limiti percettivi a cui si è assuefatti e, poi, prefigura altri limiti, in modo che l’interrogazione si protragga con un fluire di relazioni vibranti. Forse per questo Ralph Waldo Emerson, dopo aver visto il dagherrotipo di Cooley, annota nel suo diario che Dickinson assomiglia a Nefertiti6: elegante e inquisitoria, pronta a confrontarsi con la sfinge e i suoi indovinelli, decisa a guardare il fondo nudo delle cose e condurre il lavoro della conoscenza come una pratica indomita di dignità. Potremmo chiederci, allora, quali avrebbero potuto essere le opinioni di Montale se avesse dato meno importanza al peso della religione nell’opera di Dickinson? Forse, si sarebbe accorto che alcuni aspetti della propria poetica lo accomunavano a quest’autrice. Non chiederci la parola… si chiude, non a caso, con un tono espressamente dichiarativo a cui è possibile attribuire anche una caratura filosofica: “questo solo possiamo dirti/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Entrambi appartengono a una costellazione di scritture che possiedono un analogo “sistema cognitivo-espressivo”7: partono dall’esperienza soggettiva per configurare una riflessione ermeneutica e usano il vissuto individuale come mezzo di conoscenza. Questa tendenza, d’altra parte, caratterizza la poesia lirica dal Romanticismo in poi su scala globale – e la poesia lirica è una delle forme cruciali in quella che Goethe chiamava Weltliteratur, diffusasi in epoca romantica.8 Dalla fine del Settecento le distanze geografiche iniziano ad accorciarsi grazie ai nuovi mezzi della scienza e della tecnica, le influenze culturali si infittiscono, e la letteratura si sviluppa con caratteristiche che vanno oltre le tradizioni e le lingue nazionali. Questi fenomeni interconnessi hanno rafforzato, con il tempo, la prospettiva della World Literature, soprattutto nella seconda metà del Novecento: un’idea di letteratura che, oltre a reinterpretare gli assetti culturali globali dopo la stagione del colonialismo, fa riflettere su molti cambiamenti dell’umanità nell’età contemporanea. A livello macroscopico, si può dire che se, prima dell’Ottocento, la letteratura esprimeva soprattutto una casistica canonica, con variabili minime, poi diventa fondamentale affidare al linguaggio un’altra ricerca: la letteratura inizia a essere considerata una risorsa conoscitiva del sentire individuale autonomo, variabile e complesso. Nella World Literature, infatti, non contano soltanto le forme stilistiche comuni o i temi condivisi, seppure molto importanti. I temi e le forme comuni sono, infatti, interrogati dagli autori con domande che non possono essere risolte tramite risposte tipologiche o formulari sulla natura umana, perché aprono possibilità di ragionamento legate allo sviluppo dell’interiorità. L’attenzione spasmodica di Dickinson a interrogare le cose non diventerà uno degli assi poetici della World Literature?

Maria Borio

 
 
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