Se potessimo sbirciare la casa di una madre che ha appena partorito, nella fase più antica della storia di Roma, ai nostri occhi si presenterebbe una scena decisamente singolare. In piena notte, vedremmo infatti tre uomini compiere una sorta di ronda all’esterno dell’edificio, con in mano altrettanti oggetti piuttosto bizzarri: una scure, un pestello, come quelli che si usavano per macinare il grano, e infine una scopa. Giunto davanti alla porta d’ingresso, il gruppo si fermava e compiva gesti non meno misteriosi: la scure e il pestello venivano sollevati per colpire la soglia, la scopa per ripulire le schegge di legno che si accumulavano per terra, e questo nonostante i tre non fossero affatto dei malviventi intenzionati a penetrare con la forza nell’abitazione.
A offrirci la spiegazione di quello che ha in effetti tutta l’aria di essere un rito molto arcaico è il maggiore studioso antico di religione romana, il dottissimo Varrone, attivo nel I secolo a.C. Secondo Varrone, quel giro intorno alla casa della puerpera aveva la funzione di tenere lontano il dio Silvano e di impedire che tormentasse la madre e il bambino appena nato. E poiché Silvano è un dio irsuto e selvaggio, il cui dominio coincide con gli spazi del bosco e dell’incolto, ecco che per fronteggiarlo venivano impiegati oggetti appartenenti piuttosto al campo dell’agricoltura: la scure con cui si tagliano gli alberi, il pestello con cui si macinano i cereali, la scopa con cui le spighe vengono ammassate sull’aia dopo la mietitura. Non solo: da Varrone apprendiamo anche che le tre figure coinvolte nel rito impersonavano altrettante divinità: Pilumno era il dio del pestello, Intercidona la dea della scure, mentre Deverra era riconoscibile dall’attributo della scopa.
Va detto peraltro che questa affascinante interpretazione di Varrone non sarebbe mai giunta sino a noi se a ricordarla non avesse provveduto il più importante autore cristiano in lingua latina, Agostino, vissuto tra IV e V secolo: è lui a compilare infatti una sorta di antologia degli aspetti a suo dire più ridicoli della religione tradizionale, la stessa che il nuovo credo stava cercando di cancellare dalla scena del mondo. E tuttavia, ad Agostino come ad altri pensatori cristiani dobbiamo essere grati perché proprio la loro incessante polemica anti-pagana li ha spinti a citare credenze e riti che altrimenti sarebbero caduti nell’oblio: per una specie di buffo paradosso, a conservare una miriade informazioni sulla religione di Roma sono stati proprio coloro che quella religione intendevano abbattere.
Silvano, del resto, non era l’unica minaccia per i bambini appena nati: non meno pericolose di lui erano le strigi, sorta di uccelli rapaci dei quali si diceva che aggredissero le viscere dei neonati mentre dormivano nelle loro culle e ne succhiassero il sangue fino a farli deperire e morire, oppure che offrissero loro le proprie mammelle, che però non contenevano latte, ma una sorta di siero velenoso. Per fortuna, a intervenire in soccorso dei piccoli indifesi, almeno nel racconto del mito, era anche in questo caso una divinità, Carna, venerata come protettrice degli organi interni: la dea prima deponeva sulla finestra della stanza un ramo di biancospino, pianta di buon augurio, poi offriva alle strigi le viscere di una scrofa appena nata come forma di sacrificio sostitutivo, perché cibandosi di quelle i malefici uccelli rinunciassero a insidiare il corpicino del neonato.
Fin qui i Romani; ma riti, preghiere e scongiuri per proteggere le culle sono stati praticati ovunque in Europa sino all’età moderna e in alcune aree periferiche erano ancora in uso pochi decenni fa. In società nelle quali la morte dei bambini era frequentissima, questa folla di presenze minacciose, da Silvano alle strigi, consentiva da un lato di darsi una spiegazione di un evento devastante come la perdita di un figlio, attribuendola all’azione di potenze superiori, dall’altro personificava il pericolo identificandolo con un essere concreto, anche se invisibile, che si poteva quanto meno cercare di combattere o di allontanare. Quello che ad Agostino sembrava un racconto puerile, icona di una religione sul punto di scomparire sotto i colpi del cristianesimo trionfante, era insomma l’espressione di paure profonde e diffuse: paure destinate a durare ancora per un tempo lunghissimo, anche quando nei letti delle partorienti le invocazioni alla Madonna e ai santi prenderanno il posto di quelle rivolte a Deverra o a Carna.