Per non sparire, Francesca Mazzotta (Industria e Letteratura, 2023).
In Per non sparire di Francesca Mazzotta si alternano nel dialogo cinque personaggi. La struttura è simile a quella di un’opera teatrale, come ha scritto Milo De Angelis nella sua introduzione al testo.
All’inizio, prima che il lettore possa conoscere i protagonisti dalle loro parole, l’autrice ci presenta i ruoli. C’è il tempo, ovvero il padre. Ci sono memoria, desiderio, profezia e realtà, ovvero i suoi quattro figli. Ci troviamo di fronte a quattro dimensioni diverse, che coesistono perfettamente nel “tempo”, il Deus ex machina di tutte loro.
Centrale in quest’opera della Mazzotta è anche la natura, e l’uomo che vi irrompe.
In “Dall’infinito i figli”, la vita di cui ci parla l’autrice è la vita di ogni essere vivente, che viene dall’infinito per poi sbucare nel mondo e diventare mortale. Per questo ci parla di “tempo”. Noi che prima siamo “lumi fiochi dentro la gola”, per poi finire con l’azione di un “illudersi, franare / e poi morire”. Colpiscono la prima e l’ultima parola dell’intera poesia: nascere e morire.
In seguito, comincia il dialogo tra le quattro dimensioni temporali. Il primo a parlare è memoria, con uno sguardo al tempo passato concretizzato dall’uso dell’imperfetto. Le prime parole dal passato sembrano voler testimoniare una presenza prenatale, perché prevale l’oscurità e soprattutto una tendenza al nascondiglio. L’autrice ci racconta di un gioco a “nasconderci nelle pance / delle sequoie superstiti del bosco”. Torna ancora, come nella maggior parte dei componimenti dell’intera raccolta, il rapporto dell’uomo con la natura, specie se da sfondo c’è la dimensione primordiale dell’uomo.
Le prime parole della realtà, scritte con lo sguardo rivolto al presente, sono anche questa volta rivolte al paesaggio circostante: l’autrice descrive tutti gli impulsi esterni che provengono da una realtà semisconosciuta. Quest’ultimo termine è ravvisabile da un termine che la Mazzotta usa per raccontarci il luogo in cui ci troviamo: “[…] il rumore d’ovatta della pioggia / nella semioscurità che ci comprime, […]”. Il mondo attorno ha le sembianze di un inferno dantesco, dove la pochissima luce non permette di distinguere volti né luoghi. Il senso assente è la vista, allora si sviluppa maggiormente l’udito. Anche per l’autrice avviene lo stesso: “[…] il rumore d’ovatta della pioggia”.
Per il terzo soggetto “profezia” ci troviamo catapultati nella prospettiva futura. “Sarà liberatorio risvegliarsi / più vivi, saper dire / “siamo stati”.”. La scena rappresentata ci fa pensare alla risposta che potrebbe dare un nascituro alla domanda: cosa pensi accadrà quando nascerai? Stupiscono, in particolare, gli ultimi versi: “Ancora disabituati al sole sentiremo / tremori di sangue per i gorghi / dei polsi, il suo beato pulsare”. Ecco la vita che nasce, indipendente dalla madre, ecco un corpo indipendente col suo sangue che comincia ad essere percepito dai sensi.
Pian piano, dopo un lungo immergersi nel mistero della nascita, si arriva all’infanzia, ai primi nitidi ricordi. Dalla poesia “realtà 3” troviamo descritta una scena che fa pensare al panico, alla paura che un bambino può avere immergendosi nei sotterranei della metropolitana. “[…] corrono i treni le ferite come cerniere / aperte in fretta dal buio di ferro / dei sotterranei, di tutte le gole / secche per la fatica”. L’uso di una sintassi veloce, a malapena scandita da una singola virgola, rende la scena veloce e confusa, rendendo perfettamente il passaggio veloce dei treni e dei movimenti attorno al soggetto. Stupisce anche l’assenza di un altro soggetto umano. Infatti, attorno non vengono descritte folle di persone, bensì il “buio di ferro / dei sotterranei”, quindi soggetti astratti, il movimento di macchinari. Anche se, probabilmente, con l’uso di una metonimia come “tutte le gole / secche per la fatica”, dove per “gole” intendiamo una folla di persone, appunto, affaticate, allora troviamo un soggetto che comunque rimane vago e senza identità precisa.
Segue il sesto componimento della memoria, e qui lo sguardo dell’autrice scava ancora più a fondo e riempie la scena di dettagli. Protagonisti sono i sensi tattili e visivi: “disegnavamo stelle col dito / sul nostro alito impresso sui vetri”. Si passa alle sensazioni olfattive del “pane bruciato ai bordi”. La quinta e la sesta poesia della memoria cominciano così: “prima di capire”, per poi raccontare vari aneddoti, scene di gioia e spensieratezza come quelle sopra descritte. Indica forse il prima della scoperta della morte, oppure prima della coscienza di sé stessi? Una via d’uscita è certa, e l’autrice la indica con la seconda poesia del desiderio. L’approccio al desiderio è molto simile a quello della profezia, perché entrambi ricolmi di certezza. L’uso del condizionale rende tutto possibile. Ecco il desiderio espresso in questi versi: “Potremmo ricominciare dalle parole, deciderne / la sorte. / Come di enormità estinte dentro il cuore, / fiere allegoriche da accarezzare”. Le parole come salvezza e come modo per addomesticare una bestia selvaggia, ma anche come torcia per scovare le vie più buie e nascoste del cuore. Anche la sesta profezia, poesia che viene subito dopo, tratta della parola come mezzo per svelare vie anguste e prima inesplorate del cuore e della mente. Il paesaggio descritto è naturale, pieno di animali il cui istinto è nascondersi: serpenti, tassi, il mistero dei fossili nascosti dentro le pietre. Successivamente, nella poesia profezia 12 il nascondersi diventa profondamente negativo: “Rimarremo così, punteggiature labili / incapaci di unire le frasi del creato. / Qualcuno piangerà origliando il colpo / disperato del nemico recluso sotto l’erba”.
Colpisce il legame, così forte, tra queste quattro dimensioni temporali. In qualche modo vanno sempre verso la medesima direzione, i ricordi si legano col presente, le profezie seguono diligentemente questo flusso. È il pensiero a legare tutto, anche se il desiderio tende sempre ad una speranza immortale. In desiderio 6 leggiamo: “Fosse anche l’ultimo / noi vorremmo implorare / un’idea di beatitudine”, “Vorremmo salire altre scale, ripide, contorte / vederla in anticipo la morte, sentire Dio vibrare / nei muri macchiati con le dita, dar prova del / miracolo”.
La poesia che chiude la raccolta ha come titolo Da un infinito ai figli. Protagoniste sono le specie viventi, a cui l’autrice dedica le sue più tenere raccomandazioni: “Tenera progenie del meteo. Imparerai / a proteggerti dal gelo? Dalla rabbia dell’acqua / che spacca le zolle e le risucchia
La sezione “Nello spazio latente” è tratta da alcuni versi dell’autrice del libro a cui sono state affiancate quattro immagini elaborate da Andrea Gatto, il quale ha usato il modello di intelligenza artificiale Stable Diffusion 2. Le poesie dell’autrice fungono da input di testo, a partire dal quale il sistema crea un disegno digitale. Quando la parola incontra l’immagine avviene una magia particolare, consistente nella capacità di entrambe di rendere il significato delle due opere al tempo stesso indiscutibile ma ancora avvolto nel mistero. Le parole non completano l’immagine, né l’immagine le parole; piuttosto l’una fornisce una capacità sensoriale in più al lettore, aiutandolo nel processo immaginativo e comprensivo. Ma entrambe le opere mantengono la propria individualità.
Questo legame con l’intelligenza artificiale prosegue nella seconda sezione del libro. Le poesie qui comprese sono cinque, tutte generate dal linguaggio di intelligenza artificiale GPT-2. L’autrice, dando un input testuale iniziale, ha poi ottenuto il continuo del testo in lingua inglese. Così l’ha poi tradotto e generato la struttura poetica. Questa sezione è pensata “come intermittenza di un mondo nascosto e sincrono al nostro”, scrive la stessa Mazzotta nella nota a fine libro. Gli aggettivi che la Mazzotta usa per descrivere la particolarità di questo “mondo artificiale” rendono perfettamente l’idea: siamo di fronte a qualcosa che rispetto a noi, a ciò che da sempre siamo stati abituati, è sì nascosto ma anche sincrono.
Caterina Golia
realtà 3
Non ho più tempo di rincorrere me stessa
mentre prossima fermata
Missori corre la voce
corrono i treni le ferite come cerniere
aperte in fretta dal buio di ferro
dei sotterranei, di tutte le gole
secche per la fatica.
memoria 6
Prima di capire disegnavamo stelle col dito
sul nostro alito impresso sui vetri.
Le immaginavamo così le galassie.
Era inverno e dentro casa il calore,
il pane bruciato ai bordi, le prove
di solfeggio.
La nonna si aggirava canticchiava
Je ne regrette rien e noi di seguito
biascicando un francese sconosciuto.
profezia 8
I nostri sensi serberanno ogni impronta
alle pendici degli occhi.
Con l’intera superficie del corpo assorbiremo
le screziature celesti, lo sfrigolio dei ruscelli
sfilati tra l’erba e i tronchi freddi,
il gelo delle fonti, alle nostre soste,
sulle rughe delle mani.