Riproducevo astratta e imitativa – Francesca Soriani


 
Il principe azzurro
  
Riproducevo astratta e imitativa
m’ama, non m’ama
in assenza di amore preciso
e con studiata noncuranza
eseguivo il computo dei petali
che staccavo
uno
a
uno
o più insieme
affinché l’ignoto mi ricambiasse.
  
Ho smesso quando ho baciato
un rospo in un prato.
 
 
 
 
 
 
Presente ingiustificato
 
L’azione meccanica
è un gioco a perdersi.
La fai e basta.
Come viene, viene.
E tu te ne vai invece,
ché tanto credi
di esserci sempre.
Lo dai per scontato.
E pensare che io ti riconosco
quando giri la chiave
nel verso sbagliato,
quando inciampi
nel tuo solito intercalare,
in quell’attimo di lucidità
che tu chiami errore.
 
 
 
 
 
 
Assente giustificato
  
Per un soffio perdi il cielo
a capo chino, dietro un tetto,
e, se ti chiedono com’è il tempo,
guardi l’ora e dici: «Lento».
 
 
 
 

Continua il ciclo di Poesie al microscopio dedicato al lavoro di Itaca – colonia creativa e il suo laboratorio di poesia Calliope diretto da Giuseppe Nibali (già nostro partner, QUI). L’appuntamento precedente ha visto l’analisi dei testi della veronese Valeria Valotto (QUI) e della sua toponomastica di vita che si muove in luoghi. Oggi trattiamo la ferrarese Francesca Soriani.

Francesca Soriani nasce nel 1992 appunto a Ferrara, e si presenta in questi testi come una voce già solida capace di calibrare velocità e tenuta del verso con quel tanto di assonanze ed echi interni da rendere la sua poesia oltremodo credibile e godibile. Vi è altresì una tensione sottesa, una contraddizione continua e che continuamente si appalesa. Due atleti che tirano la corda ma che in chiusa del testo, anche se non trova vittoria nessuno, almeno riescono a congelarsi in un equilibrio.

Nel primo testo qui presentato, “Il principe azzurro”, l’immagine classica e retorica del m’ama non m’ama appare volutamente decontestualizzata in un atto meccanico e privo di speranza (seppure non disperato). Il computo dei petali viene ottimamente riprodotto dallo spezzarsi dei versi. Ma dall’altra parte c’è solo l’ignoto che poi affonda nel favolistico, quasi grottesco (almeno per chi sta scrivendo ora), “rospo in un prato”.

La rotondità della chiusa (“Ho smesso quando ho baciato / un rospo in un prato”) con la rima imperfetta appositamente dichiarata, non da speranza di salvezza. Non è servito all’autrice aggiungere la “non mutabilità” del rospo perché la scena stessa nega il dato favolistico che si cita.

La “meccanicità” dell’esistenza torna in “Presente ingiustificato” in un continuo rimando di opposti, quasi un coesistere aporetico che si guarda arreso (e tu te ne vai invece / ché tanto credi / di esserci sempre”). La chiave che gira nel modo sbagliato, l’inciampare nell’intercalare (sottile opposizione non diretta tra un verbo che implica il fermarsi e uno che implica il continuare tra altre cose), la lucidità e l’errore.

Chiude questa breve presentazione “Presente ingiustificato” che in quattro versi sintetizza bene quanto detto fino ad ora. Già il titolo appare come un ribaltamento logico. Il gioco “dell’assurdo” continua nella giocosità annullante delle assonanze a fine verso. Soprattutto in chiusa la capacità metaforica del verso tocca un punto di particolare rilievo nell’indicare come “lento” il “tempo”. Un tempo meteorologico che diventa il tempo della vita, dell’esistenza personale con un senso di drammaticità non disperata, arresa, in sapiente contraddizione con l’uso di lettere liquide, morbide e calme.

Certo la disperazione, il rotto rotolare dei versi non è l’unico modo di vivere la vita. Arriva un momento in cui si osservano le persone tirare scioccamente la fune della propria esistenza da una parte e dall’altra pensando di sapere cosa stanno facendo, dove stanno andando. Soriani questo sembra guardare, con delicata amarezza.

Alessandro Canzian