Speciale Giornata Mondiale della Poesia: Stefano Colletti

Prosegue, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, la serie di Speciali che la Redazione di Laboratori Poesia ha organizzato in relazione al Contest di Dicembre che, con 30 libri in gara, ha visto 93 votanti tra i lettori di Laboratori Poesia per 171 voti effettivi (tutti i risultati QUI). Al terzo posto Seracchi e morene di Mauro Ferrari (Passigli, 2024, il pezzo di oggi QUI) con 17 voti. Al secondo posto Corpo contro di Daniela Pericone (Passigli, 2024, il pezzo di oggi QUI) con 22 voti. Al primo posto Sull’altra riva di Stefano Colletti (Puntoacapo, 2024) con 48 voti.

Tali Speciali non si concluderanno con le pubblicazioni nel presente sito ma vedranno gli autori ospiti anche di siti e programmi amici come, prossimamente, Vocale di Elisa Longo.

Iniziamo oggi con testi e traduzioni scelti e a cura di Rocío Bolaños. E note di lettura di alcuni redattori.

 

 
Pioggia per la siccità a venire,
Quando gli autunni seguiranno
Altri autunni senza nient’altro
In mezzo, e non ci sarà
Riposo né salvezza.
Dalla mia finestra guardo
Lo stesso vicolo vuoto, dimesso,
Sento le campane chiamare
E pare sempre il tuo nome,
Come se avessi lasciato a loro
L’incarico, ora
Che non ho più voce.
 
 
 
 
Lluvia para la sequía venidera,
Cuando los otoños le sigan
A otros otoños sin nada
En medio, y no hubiese
Descanso ni salvación.
Desde mi ventana observo
El mismo callejón vacío, desolado,
Escucho el llamar de las campanas
Y parece ser siempre tu nombre,
Como si les hubieses dejado
La tarea, ahora
Que ya no tengo voz
 
 
 
 
 
 
Quale casa
 
Mi pare sempre di tornare
Per gli stessi vicoli verso casa,
Lungo un disgelo lento.
Cammino e sento la musica
Delle cose sotto terra.
Mi è tornata fra le mani
Una foto che mi hai mandato
Per il compleanno, la tua giovinezza
A me così familiare, e il nostro cane,
Allora cucciolo nuovo.
L’ho riguardata a lungo, sapendo
Che l’avevo fatta io, immerso
In un rimorso che ora tace.
È nell’intrico da cui nessuno
Ti osserva
Che sta la gioia.
E dunque ristanno le case,
Soffiano i venti, la luce cala
Ma lascia che ogni dolore decida
Per sé che livido mostrare
Tra la camicia e il cuore.
Quale casa.
 
 
 
 
Qué hogar
 
Me parece que siempre vuelvo
Por los mismos callejones hacia el hogar
sobre de un lento deshielo.
Camino y escucho la música
De las cosas bajo tierra.
Volvió a mis manos
Una foto que me enviaste
Para un cumpleaños, tu juventud
Tan familiar, y nuestro perro,
entonces un cachorro nuevo.
La miré durante largo tiempo, sabiendo
Que la había tomado yo, inmerso
En un remordimiento que ahora calla.
Es en el enredo desde donde nadie
Te observa
Que está en la alegría.
Y así resurgen los hogares,
Soplan los vientos, la luz cae
Pero deja que cada dolor decida
Por sí solo cuál contusión mostrar
Entre la camisa y el corazón
Qué hogar.
 
Traduzioni di Rocío Bolaños
 
 

Nella poesia dell’ultimo Colletti, quella che è purtroppo diventata di fatto il suo testamento spirituale mentre aveva ancora molto da dire e da comporre nella sua versatile creatività, nel suo insaziabile appetito culturale dispensato anche a generazioni di alunni tra i banchi di scuola, si respira un’aria claustrofobica come se tutto si fosse improvvisamente rinchiuso alle proprie spalle. Lui, il poeta, non ha più voce, ci dice nel primo dei due componimenti qui selezionati: all’interno di un edificio osserva smarrito, emaciato di vita, ciò che sta oltre, ma è un oltre asfittico, senza figure umane nei dintorni e pressoché silente se non fosse per il rintocco mesto delle campane a cui ha lasciato “l’incarico” di recitare, come una litania, il nome dell’interlocutore al quale parla.

Tutto si compirà un giorno, sta scritto: è un avviso, un presagio di ciò che accadrà, in quella stagione autunnale, periodo di mezzo tra la luce abbacinante dell’estate e il lungo buio dell’inverno, orfana di stimoli, amorfa diremmo, quasi un lento, continuo presente che si rinnova senza più alcuna novità. Si muove sulla stessa lunghezza d’onda la seconda poesia: in Colletti nulla è mai esacerbato, eccessivo o tonitruante. Il suo, nel comportamento e nella scrittura, è sempre un docile attingere dall’esperienza, una visione nostalgica di un attimo irripetibile ma eternato, fissato come medaglione di un tempo. È un’elegia che promana da un cuore ferito e sanguinante, tuttavia mai domo ad onta della tregenda sta attorno: semplici, fors’anche banali gesti (la fotografia di un cane, il pensiero per il compleanno) assurgono così a demoni della mente che segnano una cesura netta tra ciò che è stato e ciò che solo il rinnovarsi del pensiero restituisce e questo alimenta rimorsi reconditi e vividi.

Il poeta si mette a nudo, non ha timore di mostrarsi fragile, indifeso, quasi inerte di fronte agli eventi: la gioia, in lui, è un soffio lieve, una stilla dolce che vive nella solitudine dell’anima, “lontana” da occhi altrui. Tutto si svolge “tra la camicia e il cuore”, in quel limbo tra superficie e profondità nel quale ogni cosa viene attratta senza che si abbia cognizione chiara di ciò che si prova, di ciò che si è.

Ciò perché in Colletti la morte, che lo ha colto all’alba dei 63 anni, non è ostracizzata o demonizzata: rappresenta piuttosto una compagna latente negli antri della mente, in un fatalismo che attutisce e talvolta raggela emozioni e azioni senza però mai impedire un avanzamento, uno sguardo oltre, uno sforzo verso la luce, nonostante tutto.

Un poeta in perenne ascolto, nei cui versi risuonano echi di alcuni dei più grandi scrittori in versi del Novecento (Vittorio Sereni segnatamente) mediati dalla sua personale, screziata, originale vena creativa che ha sempre mantenuto alimentata fino agli ultimi giorni.

Federico Migliorati